
Passata la delusione dell’edizione australiana del 1987, l’Italia ritenta la scalata all’America’s Cup. Questa volta il progetto è ambizioso, i fondi per realizzarlo sono importanti, e il capo del consorzio italiano si chiama Raul Gardini. Finanziere, manager di successo, appassionato di vela fin da ragazzo, il magnate ravennate è l’uomo giusto per fare sognare la vela italiana.
L’avventura inizia verso la fine degli anni ’80, quando nel cantiere Tencara/Montedison di Porto Marghera inizia la costruzione del Moro di Venezia I. Gradini non bada a spese, vuole i migliori uomini: affida il progetto della barca all’astro nascente German Frers e il timone a un’altra futura stella, il californiano Paul Cayard, ai tempi giovanissimo. L’equipaggio è completato dal meglio della vela italiana, con la direzione tattica affidata ai fratelli Chieffi, e a prua un mostro sacro chiamato Alberto Fantini.
Il varo del Moro I avviene l’11 marzo 1990 a Venezia sul Canal Grande con una scenografia grandiosa, ideata addirittura da Franco Zeffirelli. Seguono nei mesi successivi i vari del Moro II, Moro III, Moro IV e infine il Moro V, lo scafo che verrà scelto per la sfida alla Coppa America. Si regata a S.Diego, a largo di Point Loma. Otto gli sfidanti: oltre al Moro arriva la Spagna, l’Australia con due barche, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Francia e la Svezia.
Il 25 gennaio del 1992 inizia il primo Round Robin e da subito si capisce che due barche sono molto più veloci delle altre: New Zealand e il Moro V hanno decisamente un passo in più. Si arriva così alla finale sfidanti, mentre nelle notti italiane è febbre da Coppa America. La vela entra nelle case degli appassionati attraverso le dirette di Tele Monte Carlo, e al bar si parla di Gennaker, bompressi e bolina invece che di calcio.
Il Moro di Venezia si presenta alla finale sfidanti con quotazioni bassissime, la barca italiana è data per spacciata contro i fortissimi kiwi condotti da Rod Davis. Il 18 aprile si svolge il primo atto e New Zealand è subito in fuga. Dopo cinque regate il punteggio è di 4 a 1, si corre al meglio di nove prove, e il Moro sembra avere finito la benzina. Ma un colpo di scena è dietro l’angolo. Cayard presenta un ricorso ai giudici di regata, additando come irregolare il bompresso dei neozelandesi. La giuria conferma e toglie un punto ai kiwi. Si ripartirà dal 3 a 1 e senza l’utilizzo del temuto bompresso.
La storia della finale è ormai cambiata e il Moro V, aiutato dal genio di Guido Cavallazzi che realizza un set di vele nuove per le andature portanti, ribalta clamorosamente il risultato vincendo per 5 a 3. Il Moro di Venezia è la prima barca italiana a partecipare alla finale dell’America’s Cup, la prima non anglosassone nell’intera storia della Coppa. Un successo inimmaginabile quello di Gardini e Cayard, mentre in Italia il tifo impazzisce.
Sulla strada verso la Coppa America i ragazzi italiani si trovano davanti una montagna: a vincere le selezioni per il defender è stato infatti Bill Koch, al timone della mostruosa America Cube. Koch negli ultimi mesi ha fatto di tutto per spiare i segreti del Moro: in banchina si parla di sommozzatori nascosti, talpe e telecamere che dalla lunga distanza hanno osservato i movimenti nella base italiana. L’America ha paura.
Il 9 maggio inizia la finale e in Italia è delirio collettivo: il tifo tricolore arriva fino in California, dove il giorno della prima regata la giuria deve ritardare la partenza a causa delle troppe barche di tifosi che circondano Il Moro. La prima regata va ad America Cube con appena 30 secondi di vantaggio. L’apoteosi si raggiunge però il 10 maggio: regata serratissima con le due barche sempre a contatto. Nell’ultimo lato di poppa il Moro e America Cube si presentano perfettamente appaiate sull’arrivo, ma Cayard sventa lo spinnaker, tagliando il traguardo con la vela prima che con lo scafo, beffando Bill Koch per appena un secondo.
Il proseguo della finale purtroppo non ha storia: troppo veloce la barca americana, e il Moro è costretto a incassare un secco 4 a 1, ma la barca italiana, aldilà del risultato, a S.Diego ha fatto la storia.
Il sogno italiano ha però una fine da incubo. Raul Gardini viene travolto dallo scandalo di Tangentopoli, e il 23 luglio del 1993 si suicida nella sua abitazione di Milano. Un triste epilogo, per un uomo che, nello sport, aveva fatto sognare un intero paese.